Neve e terremoto, #emergenza Abruzzo: avviati i lavori a Colledoro
I volontari lavorano ancora per riparare i tremendi danni che si sono prodotti in un giorno e una notte, nel grande gelo di gennaio. Siamo a Colledoro, Comune di Castelli, provincia di Teramo, nella sede della Fondazione Leo Amici che il 18 gennaio scorso (e per diversi giorni) ha dato rifugio ad oltre 60 persone del paese, vittime del terremoto e della grande neve. Non solo.
Ha accolto 20 unità dell’Esercito Italiano, oltre a personale della Protezione Civile, impegnati anche nei soccorsi della tragedia dell’Hotel Rigopiano.
Quelli furono momenti tremendi. Paesi isolati, senza corrente elettrica per giorni, comunicazioni difficili, strade bloccate, difficoltà nei soccorsi.
La casa di accoglienza della Fondazione, con l’ampio spazio del centro di aggregazione giovanile (che in passato la Protezione Civile aveva indicato come punto di riferimento in caso di eventi sismici e che già per i terremoti del 24 agosto e del 30 ottobre 2016 aveva ospitato numerose persone), nelle prime ore dell’emergenza è diventato un ricovero sicuro per tanti della zona che l’enorme nevicata e le quattro scosse di terremoto del 18 gennaio avevano messo in gravissima difficoltà.
La sede della Fondazione Leo Amici a Colledoro a gennaio e ad aprile 2017
Colledoro è rimasto isolato 3 giorni, senza luce. Soltanto all’alba del quarto giorno un mezzo aveva iniziato a circolare liberando la strada principale delle numerose frazioni della zona giungendo anche al paese. Per diverse notti la popolazione locale (anziani, famiglie con bambini), ha dormito nel centro di aggregazione, fortunatamente dotato di un autonomo generatore. I volontari della Dare e della Fondazione, assieme agli uomini del posto, avevano creato una cordata di solidarietà per tracciare una strada, raggiungendo e soccorrendo le case isolate e anche gli animali che erano rimasti senza stalla e cibo.
“Questo piccolo centro di montagna ha numerose case sparse – ha spiegato Mahiri Arcangeli della Fondazione Leo Amici – perciò periodicamente era stata organizzata una ronda per portare cibo e materiali alle persone costrette a rimanere nelle loro case perchè allettate. E’ stato organizzato lo spazio del centro con letti e tavoli, ma erano state messe anche a disposizione le stanze della casa di accoglienza per permettere a tutti di trovare un posto letto”. I volontari sul posto aspettavano con ansia l’arrivo delle turbine, necessarie anche per permettere l’arrivo dell’ossigeno che serviva per alcune persone anziane. Due volontari da Colledoro hanno cercato con fatica, date le condizioni, di approvvigionarsi di carburante per permettere al generatore di funzionare ancora. Intanto in cucina le volontarie assieme alle signore del posto cercavano di preparare dei pasti caldi. Fuori, la neve, alta più di due metri, oscurava quasi del tutto le finestre, in un gelo senza fine.
Quando sono arrivati a Colledoro, Ivano e Orazio era tardo pomeriggio, l’ultima macchina a salire dalla strada provinciale: da lì a qualche ora sarebbe diventato impossibile muoversi. “Ci siamo subito resi conto della gravità della situazione soprattutto per il tetto del Centro di Aggregazione Giovanile della Fondazione Leo Amici: la neve era alta circa un metro e venti. Walter, il geometra che avrebbe dovuto raggiungerci la mattina seguente, aveva detto che la struttura era sì antisismica ma che comunque non poteva reggere troppo peso” raccontano Ivano e Orazio. Così i due, assieme a Giovanni (che con Chiara è presente come volontario a Colledoro) sono saliti sul tetto per liberarlo. Due ore di lavoro e solo 20 metri quadri puliti su 200 metri di superficie.
La mattina dopo, alle prime luci dell’alba, avendo nevicato tutta la notte, il livello della neve era diventato 2 metri. Ciò che avevano fatto la sera prima era tutto ricoperto di nuovo dalla coltre bianca. Così hanno ricominciato a spalare il tetto per evitarne il crollo. Dopo qualche ora ecco una scossa di terremoto, il tetto della struttura trema sotto il loro piedi: si fermano, si guardano, capiscono che devono sbrigarsi. Il centro di aggregazione è l’unica struttura antisismica del paese che può ospitare tante persone: non ce l’avrebbero mai fatta da soli.
Dopo la terza scossa arriva Agostino con il suo piccolo escavatore che si fa largo tra la neve, liberando la strada. Dietro di lui Florindo e tanti uomini del paese pronti ad aiutare. “Meno male” pensano Orazio, Ivano e Giovanni “non siamo soli”! L’altra squadra di volontari con Walter, venuti da Rimini era rimasta bloccata a 8 km dal centro collinare, per il manto nevoso e un cavo dell’alta tensione caduto in mezzo alla strada.
Cominciano a spalare tutti insieme il tetto mentre un’altra squadra scava facendosi un varco per raggiungere l’ingresso del centro di aggregazione. Di lì a poco, le persone del paese, donne, bambini, anziani sarebbero arrivate per entrare nella struttura e trovarvi rifugio e insieme a loro anche anziani in carrozzella o con bombole di ossigeno.
Si continua a spalare. L’obiettivo è liberare almeno mezzo tetto. Alle 18.30 i volontari ci riescono ma non è abbastanza. Nel frattempo Giovanni fa sistemare le persone sotto la metà del tetto liberato. “Per l’altra parte del tetto ancora coperto, dove sotto la neve ci sono i pannelli fotovoltaici, non si sa come fare perché si rischia di creare ulteriori danni – dicono Ivano e Orazio -. Ci vorrebbe davvero un miracolo”. C’era in loro la responsabilità di tutelare le circa 60 persone che avrebbero passato la notte lì sotto, purtroppo al freddo ma al sicuro. Dopo mezz’ora si sente un’altra scossa di terremoto, l’ultima della giornata, questa volta breve secca e sussultoria con un gran boato. Tutti quanti corrono fuori: la neve che era rimasta ancora sul tetto era tutta scivolata, senza fare danno, liberandolo. Orazio, Giovanni e Ivano si guardano esclamando “Il Cielo ci ha dato una mano”. Poi però, osservando bene, si accorgono che un angolo di tetto è ancora coperto da un blocco di neve di circa 40 metri quadri e si chiedono come mai. “Poco importa” dicono i tre, la neve è nella parte che copre la zona del palco. “Se anche dovesse accadere il peggio nessuna persona è in pericolo; domani mattina lo libereremo”. L’indomani, quando salgono sul tetto per completare il lavoro, rimangono a bocca aperta. Il Cielo aveva aiutato più di quello che credevano. Difatti la parte non scivolata sarebbe caduta sulla centrale termica delle caldaie,sfondandone la copertura e distruggendo tutto l’impianto di riscaldamento così da non poter dare più calore agli ospiti. “Questo ci ha dato coraggio” dicono Ivano, Giovanni e Orazio “a fine giornata quello che serviva alle persone, oltre al lavoro, era una mano sulla spalla, un abbraccio e una parola di conforto che ristorasse i cuori e facesse capire loro che non erano soli, non eravamo soli, ma eravamo tutti fratelli”.