Lo Zambia ci guarda: missione dei volontari della Dare al Malaika Village

Un elettricista, un idraulico, un piastrellista (Daniele, Roberto, Ettore accompagnati dalla fotografa Vittoria) tutti artigiani professionisti, tutti riminesi, per 20 giorni sono stati impegnati a Luanshya nel completamento e messa in funzione del centro di accoglienza che adesso è utilizzato dalle suore che aiutano la Onlus “Noi per Zambia” a gestire il villaggio. Si sono occupati anche di lavori di manutenzione oltre a proseguire nell’opera di trasmettere il know how ai giovani del posto.
Mentre tra la neve e il freddo dell’Abruzzo, a Colledoro i volontari riminesi stavano avviando la conta dei danni e aiutavano la locale popolazione a ritrovare un minimo di normalità, altri volontari dell’Associazione Dare, braccio operativo della Fondazione Leo Amici, partivano per il sole cocente dello Zambia, dove da 13 anni ogni gennaio intervengono prodigandosi ad aiutare nella costruzione del Malaika Village, sorto da una gara di solidarietà che ha coinvolto aziende della Romagna e delle Marche.


Nelle foto: il cantiere al Malaika Village e la fotografa Vittoria assieme ai bambini della scuola

A seguire il contributo dell’associazione Dare e Fondazione Leo Amici al progetto Malaika Village della Onlus “Noi Per Zambia”, Sauro Vitali (imprenditore riminese di successo e volontario) che coordina l’azione dei volontari della Dare per il villaggio africano da tempo, cioè da quando fu avviata la collaborazione tra Carlo Tedeschi, l’oramai scomparso Don Ottavio (parroco di Carpegna) e Maria Pia Ruggeri.

Un impegno da oltre 10 anni
«Quando oltre 10 anni fa, la Fondazione Leo Amici ha voluto offrire la costruzione dei tetti di quindici abitazioni nel villaggio Malaika, con il contributo economico di alcune aziende italiane ed estere che conoscevo grazie al mio lavoro, abbiamo reperito i fondi necessari per gettarne le fondamenta e completare i 110 metri quadri di ciascuna abitazione – spiega Sauro -. Tutte le case sono state ultimate in soli trenta giorni! Poi, la stretta collaborazione con Don Ottavio e Maria Pia Ruggeri, la missionaria della Onlus che vive in Zambia da tanti anni, è continuata nel tempo con l’invio di volontari specializzati a seconda delle necessità del villaggio. Così,ogni anno, sono partite nostre squadre di elettricisti, idraulici, muratori, piastrellisti, gruppi di 4 o 5 persone che hanno sempre dato il massimo per contribuire alla realizzazione del villaggio. Oggi esso comprende scuole, un ospedale, un refettorio per i bambini e tanto altro. La scomparsa di Don Ottavio, avvenuta circa quattro anni fa, ha lasciato in tutti noi un grande vuoto, ma nel suo ricordo tutto è proseguito e abbiamo completato anche le scuole secondarie”.

Fascino e contraddizioni del cuore dell’Africa: “…ancora una volta, l’umanità mi ha vinto”!
Lo scrittore Ettore Tombesi, uno dei volontari, racconta

In gennaio sono stato in Zambia per la terza volta come volontario, collaborando con l’associazione umanitaria di “Noi per Zambia”.
In questa tornata, mi sono stupito scoprendo nuovi particolari e nuove contraddizioni.
Alla mattina presto, sulla lunga strada principale che costeggia il villaggio, il camion carico di verdura distribuisce alle sbilenche bancarelle, merce che viene rivenduta al dettaglio: tre pomodori rossi, 50 centesimi. Penso al guadagno di chi vende.
Ma ci sono anche due supermercati di proprietà sudafricana, uno vicino all’altro, dove il filetto di manzo costa 7 euro al chilo e i peperoni colorati, importati dal Sud Africa, costano 3 euro e 50.
La paga mensile per chi lavora è di poche centinaia di euro.


Nelle foto: i volontari insieme a Happy e il centro di accoglienza quasi pronto

Ora, stanno costruendo un nuovo centro commerciale con annesso supermercato, ristoranti, gelateria, negozi e tutto il resto e i ragazzini, quelli più scalcinati, faranno parapiglia sino al sangue per accaparrarsi un posto di fronte all’ingresso dove fare nuova elemosina.
Mentre piastrellavo il bagno rifatto della casina in comodato d’uso di un insegnante della scuola del “Don Ottavio School”, la televisione trasmetteva a forte volume “Il grande Fratello” zambiano al resto della famiglia accomodata sul divano. Il divano, il telefono e la televisione sono punti di arrivo per la maggior parte delle famiglie e anche le parrucche per signora sono molto in alto nella graduatoria dei desideri.

L’armadio, questo sconosciuto…
Poi passa un buon temporale e si porta via un bel numero di baracche del “compound”, qualche animale domestico e un paio di bambini. Al loro funerale non c’è problema alcuno riguardo al vestirsi bene, non hanno l’armadio. Non hanno l’armadio!
Questo fatto mi sconvolge più di ogni altra cosa. L’armadio è il consumismo, il perbenismo, l’edonismo, la proprietà privata e tutto il resto. Il contenuto dell’armadio è assolutamente qualcosa che al Nord del mondo identifica. Nel compound non serve l’armadio, non ci sarebbe lo spazio nelle baraccopoli e non ci sarebbe nulla per riempirlo.
L’anziano commerciante indiano ma nato in Zambia al tempo degli inglesi, ci ospita in casa per offrirci, a noi volontari “del buon vino rosso sudafricano” dice. Il cancello scorre e i suoi dipendenti si danno un gran affanno per permetterci la manovra con l’auto attraverso di esso. Dentro il vialetto recintato, ben protetto da alte mura e reticolo, la moglie spalanca il cancelletto interno e il portone blindato per passarci, con il “welcome”, la bottiglia regalata.

Poco distante, il barbone è sdraiato sotto la pianta, allo stesso posto di due anni fa, quando lo vidi la prima volta, solo che sono aumentati i barattoli di latta, i cellophan, le coperte, le immondizie varie e anche le mosche che vorticano sopra di lui, ben visibili e udibili.
Lungo le larghe strade secondarie della città di Luanshya, i negozi hanno l’aspetto delle scatole da scarpe ma con porta e inferriata. Caseggiati ad un piano e senza tetto accostati l’uno all’altro, senza una sorta di idea rettilinea, di buon gusto europeo o buon senso visivo. Le massicce inferiate in tondino di ferro donano all’ambiente il fascino del carcere dall’esterno. I lucchetti, tutti, sono arroccati dentro ad una protezione in ferro che obbliga la chiave ad una genuflessione verso il basso ed una torsione degna del miglior contorsionista.

Poche monete lerce di usura
E mentre tutto si ruba, nei bar della città e nei chioschi dei compound, si spara musica rap a tutto volume e i palestrati in canotta bianca e jeans calato di dietro si muovono dinoccolati con le birre in mano, mostrando i cappellini americani e le catene d’oro zambiano. Il tutto avviene tra la folla povera che transita veloce rincorrendo piccoli affari di cibo e di impegni anche minimi, impugnando poche monete lerce di usura, provenienti da stenti in miniere di rame e carbone.
Da poco hanno coniato le monete di metallo da 1 kwacha e da mezzo. Sarà stata una necessaria idea del presidente Lungu, eletto dal popolo, che dopo aver radunato la camera dei saggi delle 74 tribù ha legiferato con autorevolezza.
In strada, file di donne madri con avvolti i piccoli in fagotti colorati, stazionano nell’attesa di un’assistenza in un qualche centro sanitario associato ad una congregazione religiosa.
Lungo lo stradone che sale verso il Nord, in Congo, due chiese dalla fattezza uguale si ergono ai lati una per parte. Due chiese uguali, fra baracche impiantate su strade di fango come letti di fiumi.
I militari presidiano di autorità gli snodi stradali, impugnando mitragliette di nuova costruzione o vecchi A.K. 44 dal manico lucidato da un lavoro come un altro, la divisa. Il maggiordomo ci fa accomodare al bar di casa e con la livrea e i guanti bianchi accecanti, offre il drink.
Poi serve a tavola e si mangia pasta, pollo, maiale, frutta, dessert, vino e tutto il resto. La piscina è riscaldata e il padrone di casa è persona squisita: ci coccola nella giustizia del libero mercato della Repubblica Zambiana raccontandoci storie di dighe, acquedotti e strade invitandoci a tornare, volontari, quando vogliamo.

Io non ho mai visto un bianco…è diverso!
I bimbi dell’asilo raggiungono il numero massimo di oltre trecento unità, come dice il governo, mentre altri cento sono all’ingresso, accompagnati o soli, ad aspettare una ciotola di polenta bianca, rimasta magari, da un calcolo sbadato della cuoca.
Gli occhi dei bimbi … sono innocenti come quando ti vogliono toccare i capelli lisci o i peli delle braccia e ridono vedendo la peluria del mio naso imbiancata dalla polvere del cantiere. Altri di loro, che non hanno mai visto un bianco – musungu – , piangono scappando via o nascondendosi dietro agli altri bimbi più coraggiosi e ti guardano, attratti dalla diversità. Noi, per loro, diversi…
(il racconto prosegue sull’ultimo numero, il 34, di AcomeAmici in Pdf nell’archivio)