“Non facciamoci rubare il senso della pace”. A colloquio con il professor Giancarlo Galeazzi

Riproponiamo l’intervista che il prof. Galeazzi rilasciò ad A come Amici nell’ottobre 2015 e pubblicata sul numero 31. “Noi usciamo da un secolo sanguinario, il XX secolo, quello caratterizzato da maggiore violenza, è iniziato con la Prima Guerra Mondiale. Almeno in Europa, nella seconda metà del ‘900 non c’è stata guerra. Oggi però siamo di fronte ad un’Europa sempre più sbrindellata, che resta di quell’idea di pacificazione  di Adenauer, Robert Schuman e Jean MonnetAlcide De Gasperi. Il personalismo, come filosofia, aveva influenzato allora anche gli statisti. Abbiamo, certo, trovato alcune modalità di pace, ma ora le cose sono cambiate”.

Il professor Giancarlo Galeazzi, filosofo e ideatore di molte manifestazioni dedicate alla divulgazione filosofica ci accompagna in un viaggio nel mondo della filosofia, dedicato alle virtù della pace.

Professore, le cose sono cambiate, in che senso?

“Oggi siamo di fronte alla globalizzazione: oggi ogni guerra assume una dimensione planetaria e rischia di mettere in discussione un assetto internazionale o rivelare debolezza di convivenza. C’è una duplice indicazione: positiva e negativa. L’Europa dimostra, ed è esempio, che la pace si può trovare; al contempo, per via di focolai di guerra in tutto il mondo e per la caratterizzazione della globalizzazione delle guerre, gli assetti internazionali ne risentono. Come dire, oggi anche uno scontro locale diventa ed ha effetti globali. In questa  situazione ci sono motivi di disperazione e speranza. Vediamoli insieme.

Nel 1400 un grande umanista Erasmo da Rotterdam, personaggio straordinario, voleva tornare ai classici e al Vangelo con l’umanesimo cristiano, scrisse pertanto un libricino intitolato “Il lamento della pace”. La pace viene raffigurata come una donna  che cerca dimora, che cerca pace. Non la trova nei governi, nella Chiesa, nemmeno nei conventi, alla fine cerca pace nell’uomo e non trova pace nemmeno in lui che vive tanti contrasti. Erasmo aveva capito che non possiamo illuderci di trovare pace. La conflittualità sta nell’uomo e nella società stessa.

Il problema non è ipotizzare un uomo privi di conflitti o una società senza conflitto, ma pensare ad una società o uomo che saprà risolvere i conflitti in modo non violento. I conflitti ci sono ma li fronteggiamo responsabilmente in modo da affrontarli in una maniera non violenta. Jacques Maritain, Emanuel Mounier, Italo Mancini e  Maria Montessori. Questi quattro autori hanno tuttavia avuto in comune questo senso della pace, non come utopia impossibile o come facile condizione da raggiungere, ma come conquista. Come tutte le conquiste è faticosa. Per citare Mancini, ‘la pace è un sogno non notturno ma diurno, non di uno ma di tutti, quindi non un sogno, non una utopia ma un qualcosa di concreto raggiungibile”.

 

Allora professore quale sarebbe la strada da seguire?

“La strada è il dialogo ma non per accordarsi sulle idee ma sul piano operativo. In un mondo diviso ci sono possibilità di cooperazione sul piano pratico. Ognuno rimanga coerente con le proprie idee però cooperiamo sul piano pratico-operativo e ciò è possibile.  La pace è un ideale storico concreto che si identifica, quindi, con iniziative pratiche. Mounier distingue la forza come violenza e la forza come fortezza. La forza guerra è debolezza. La pace è virtù dei forti non dei deboli, i forti che esercitano la fortezza esercitano la pace.  Io non sono né bellicista né pacifista, bisogna trovare formule per non operare né soprusi né sottomissioni indebite. Impegno eroico che torna anche in Maritain, umanesimo eroico, la pace è condizione dei liberi e forti anche secondo Don Sturzo.

Veste i panni della riconciliazione in Mancini. “Torniamo ai volti, partendo dal volto santo di Dio incentrando la nostra società nel volto dell’altro” il volto è la parte più indifesa, quindi deve essere conosciuto, rispettato e accarezzato. Si dischiude un volto nuovo di pace, cultura del lavoro, dei piccoli gesti quotidiani, sentimenti… Qui Montessori, che fu  candidata al Nobel non vinto, vinse però la sua battaglia. Pace è costruire o ricostruire il punto di partenza, passando dall’adulto al bambino e partire da quella che è la madre di tutte le guerre: adulto contro il bambino, la guerra che l’adulto  ingaggia col bambino per sottometterlo. Questo fomenta debolezza, risentimento, il bambino adulto farà lo stesso con suo figlio”.

 

 

Quindi dobbiamo togliere la guerra dai rapporti interpersonali?

“Questo bambino rivela un segreto, egli è  un operaio della pace se si acconsente alla sua natura, il bambino costruirà un mondo di pace, se lasciato al suo sviluppo normale, un bambino è laborioso; se acconsentiamo a questa linea di tendenza già operiamo per la pace, dice la Montessori.  C’è una dimensione su cui ha insistito la Montessori ovvero l’educazione cosmica, uscire dalle logiche ristrette che ghettizzano il problema della pace”.

 

Ma oggi la pace viene intesa anche come responsabilità…

 

“E’ vero, c’è in questo senso una indicazione dei filosofi: la pace ha un suo principio, ovvero la responsabilità nei confronti di coloro che ci hanno preceduto, che ci hanno lasciato un mondo di cui siamo responsabili nei confronti dei contemporanei e di coloro che verranno. Questi ultimi  hanno diritto a ricevere questo mondo: consumare, inquinare e distruggere sono categorie incompatibili con la responsabilità e quindi con la pace.  Hans Jonas o Paul Ricoeur  hanno parlato di responsabilità ed è la scoperta della vocazione propriamente umana della responsabilità.

Occorre anche andare oltre alla filosofia, l’enciclica di papa Francesco “Laudato Sii” è incentrata sull’ecologia integrale, basata sull’ecologia umana, ambientale e sociale.

La questione dell’ecologia è la questione della pace. Se vogliamo parlare di pace dobbiamo tener conto del grido della terra e dei poveri. Aspetti che non si possono risolvere autonomamente e non sono indipendenti l’uno dall’altro. Ponendo correttamente il problema ecologico si pone la condizione per parlare correttamente di pace. Coordinare questa ecologia integrale: prima concetto di dignità e secondo concetto di famiglia. La dignità va distinta in dignità creaturale e dignità umana, la dignità è di tutte le sue creature. Bisogna riconoscere una dignità trascendente all’uomo ma tutti gli esseri in quanto sono creati hanno dignità. E’ anche la stessa lezione di San Francesco”.

 

E che ruolo ha la famiglia?

Quando parliamo di famiglia, ce n’è una in senso stretto…e una più grande, la famiglia universale, cosmica, che obbliga gli uomini a relazionarsi e stare insieme; essa non riguarda solo gli uomini ma anche le altre creature. L’uomo non ha solo responsabilità  nei confronti dei suoi simili ma anche delle altre creature. l’uomo  non è chiamato ad esercitare il servizio ma il dovere di sviluppare le potenzialità. I due concetti sono già presenti ne ‘I sepolcri’ del Foscolo, quando scrive ‘,,,quando sarà in questa famiglia d’erba e di animali’. Dovremmo guardarci come parte della natura.

La famiglia attuale paradossalmente non risponde più a questi requisiti basti pensare a quello che accade nella famiglia attuale. manca la condivisione che invece costituisce il senso più vero della convivenza. Diceva Mancini che bisogna opporsi alla logica della frantumazione per far emergere la condivisione che sta nel cuore della legge attraverso il senso del dovere, dell’aiutarsi, questi sensi li stiam perdendo. Ma fintanto che c’è qualcuno che ha il coraggio di ricordarcele queste parole, noi abbiamo una possibilità di riappropriarcene. Non facciamoci rubare il senso della pace.

Dire che “è inevitabile” un qualsiasi conflitto, anche piccolo, è un modo di abbassare la guardia, e non essere responsabili…basta cominciare nel proprio piccolo, con sé stessi e con la propria famiglia”.

Chi è Giancarlo Galeazzi

Galeazzi è intellettuale e operatore culturale nato ad Ancona nel 1942, e noto soprattutto  come filosofo e studioso del pensiero di Jacques Maritain, del quale ha curato l’edizione di alcune opere, tra cui “Per una filosofia dell’educazione” (Ed. La Scuola), “Cultura e libertà” (Ed. Boni) e “La persona umana e l’impegno nella storia” (Ed. La Locusta), e sul quale ha curato numerosi convegni e volumi dedicati alla politica, alla pedagogia, alla teologia e all’estetica: memorabile il convegno internazionale di Ancona del 1973 che ha segnato la “Maritain-Renaissance”. È stato docente di Storia della mistica all’Università di Urbino, e ha curato quattro convegni nazionali di mistica tenutisi a Osimo e i relativi atti promossi dal Centro studi “San Giuseppe da Copertino” di cui è vice presidente e di cui ha diretto la rivista “La fede e i giorni”. Dopo aver diretto l’Istituto superiore marchigiano di scienze religiose “Redemptoris Mater”, è attualmente direttore dell’Istituto superiore di scienze religiose “Lumen gentium” istituito dall’arcidiocesi di Ancona-Osimo e collegato alla Facoltà teologica della Pontificia Università Lateranense; dirige inoltre la Scuola di alta formazione etico-politica di Ancona-Osimo; è infine referente diocesano per Ancona-Osimo del “Progetto culturale” della Conferenza Episcopale Italiana, di cui è anche referente regionale per le Marche. Per il recente Congresso Eucaristico Nazionale ha curato i volumi: La quotidianità eucaristica: contesto e ambiti (Ed. Città Nuova) e Dalla fragilità alle fragilità (“Sacramentaria & Scienze religiose” n. 37).